FRANCESCO PAOLO TOSTI, L'OMBRA E LA LUCE.
EVOLUZIONE MELODICA E SPIRITUALE DELLA ROMANZA DA SALOTTO ITALIANA

FRANCESCO PAOLO TOSTI, L'OMBRA E LA LUCE. EVOLUZIONE MELODICA E SPIRITUALE DELLA ROMANZA DA SALOTTO ITALIANA

Francesco Paolo Tosti: l’ombra e la luce. Evoluzione armonica e spirituale di un canto italiano

«Il pianoforte deve essere per il canto ciò che l’ombra è per la luce: necessario, ma mai invadente.»
Con questa frase — riportata in una lettera del 1887 alla cantante Emma Marchesi — Francesco Paolo Tosti sintetizzava la sua poetica: la voce come nucleo espressivo, il pianoforte come sostegno, mai come antagonista. L’equilibrio fra canto e accompagnamento rimane la costante più profonda di tutta la sua produzione, ma nella maturità questo equilibrio si trasforma, diventando più sottile e meditato.

Per suo merito praticamente esclusivo, la musica vocale italiana da camera ottiene fra Otto e Novecento piena dignità e smette di essere la cugina povera -anzi: poverissima! – dell’Opera Lirica.

LE PRIME ROMANZE

Nei suoi anni iniziali, Tosti costruì il proprio repertorio di romanze per voce e pianoforte tra Milano e Napoli, affermandosi come compositore della “romanza da salotto”.
Le raccolte delle Romanze per canto e pianoforte pubblicate da Casa Ricordi mostrano la sua precoce attenzione alla qualità poetica: la casa editrice ricorda che «Nelle opere di Tosti si ritrovano i testi di oltre un centinaio di poeti europei… la sua musica vocale da camera si distingue per una maggiore qualità del testo letterario rispetto a qualsiasi altro simile repertorio prodotto nell’Italia dell’Ottocento».

Tra i primi titoli si distinguono per esempio  Vorrei morire! e La serenata, brani in cui il canto domina su una semplice cornice pianistica. L’accompagnamento resta funzionale: accordi arpeggiati e modelli ritmici regolari, senza interferire nella linea vocale.

Nel contesto napoletano emerge la canzone dialettale-romanza ’A vucchella (1892), con testo di Gabriele D’Annunzio, un esempio di come Tosti sapesse trasportare la melodia locale nel repertorio colto. 
In questo primo periodo, Tosti predilige armonie prevalentemente diatoniche, modulazioni semplici e una struttura strofica che facilita l’immediata memorizzazione del canto.

Il pianoforte fornisce una cornice ritmica e tonale, lasciando alla voce il compito di condurre l’emozione.
Come nota John Rosselli (Music and Musicians in Nineteenth-Century Italy), «in Tosti the piano rarely competes with the voice; it provides the emotional atmosphere in which the voice breathes».
(in Tosti, il pianoforte compete molto raramente con la voce; ha il compito di creare un’atmosfera in cui la voce possa esprimersi).

LONDRA E LE NUOVE ESPERIENZE

Dagli anni londinesi (1875–1910), il linguaggio tostiano si arricchisce di cromatismi e sospensioni armoniche che rivelano l’influenza francese e tardo-romantica.

In Goodbye la semplice melodia iniziale lascia spazio a frasi discendenti, quasi interlocutorie e di attesa, con cromatismi anch’essi discendenti, per poi aprirsi melodicamente in un saluto a mezza voce, subito concluso.
Il pianoforte incalza con terzine, il canto si fa più concitato ma senza spiccare il volo fino alla ripresa quasi trionfale del tema iniziale, in cui la tristezza dell’addio viene quasi a essere contraddetta dall’esplosione  melodica.

Non t’amo più (1909) mostra già una scrittura in cui il pianoforte diventa “voce interiore”, con figurazioni oscillanti e accordi che ritardano le cadenze, prolungando la tensione affettiva. Michael Aspinall osserva che Tosti «knew exactly how far harmonic surprise could serve emotion without disturbing the clarity of line»: la sorpresa armonica, mai fine a se stessa, amplifica la verità emotiva del testo.

La ricerca di equilibrio tra canto e accompagnamento percorre tutta l’opera di Tosti e raggiunge la piena maturità nei brani composti tra il 1890 e il 1910.
In Ideale (1892) la scrittura pianistica, apparentemente semplice, è costruita su un’armonia fluida e mobile che accompagna il testo poetico con un respiro unico: «Torna, caro ideal, torna un istante» diventa non solo supplica, ma ondeggiamento sonoro, sostenuto da accordi che sembrano sciogliersi nella voce.

La stessa poetica appare nel brano Sogno (1890), in cui la melodia si muove su un basso semplice e arpeggi, creando un effetto di sospensione temporale.

Tosti scriveva a un allievo: «Non è il numero delle note che fa la musica, ma il modo in cui esse respirano» (lettera a F. Capecelatro, 1891).
Questa concezione del suono come respiro, più che come costruzione armonica predeterminata, anticipa la trasparenza del linguaggio tardo e spirituale di Consolazione.

CONSOLAZIONE, L’ULTIMO CICLO (1916)

Questo percorso trova il suo compimento spirituale in Consolazione (1916), ultimo ciclo composto poco prima della morte. Pubblicato da Ricordi, è formato da sei liriche sacre su testi religiosi e meditativi. L’ispirazione è intima, quasi confessionale; la scrittura si fa rarefatta, le armonie colgono suggestioni modernissime, la voce rinuncia al virtuosismo ‘da esibizione’ per acquistare profondità espressive e timbriche, il pianoforte assume una funzione più autonoma.

Nel brano conclusivo del ciclo, Tosti raggiunge uno dei momenti più alti della sua arte. La linea melodica si distende su intervalli ampi, ma senza teatralità.
La tonalità, pur radicata nella tradizione, è continuamente sfiorata da modulazioni e da accordi di nona e undicesima che dissolvono la cadenza. La parte finale, interamente pianistica, è una lunga meditazione senza voce: un congedo sonoro che trasforma il pianoforte — per tutta la vita “strumento d’armonia più che d’espressione” — in voce autonoma di raccoglimento e silenzio.

Francesco Sanvitale scrive: «Nel ciclo Consolazione la melodia non si abbandona più al fluire del sentimento, ma si raccoglie in sé, e il pianoforte parla finalmente con voce propria, senza tuttavia tradire la sua funzione di sostegno spirituale del canto».

In quella chiusa pianistica, sospesa tra tonalità maggiore e minore, si avverte il passaggio da un’arte mondana a un’arte contemplativa. È come se il compositore, dopo aver passato una vita a cantare l’amore e la malinconia, affidasse ora alla sola musica — senza più parole — il compito di consolare.

Con Consolazione, Tosti conclude la parabola della romanza italiana portandola sul terreno dell’introspezione: una forma che nasce dal salotto borghese, ma si eleva a testimonianza spirituale, in cui il canto si trasforma in silenzio e la voce, finalmente, lascia che sia il pianoforte a respirare per lei.

Valter Carignano

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